venerdì 11 novembre 2011

Ante litteram

Su una rivista femminile nella sala d'aspetto del dentista ho letto che in Inghilterra, con facilità e poca spesa, si può cambiare nome. L'autore dell'articolo - noto psicoterapeuta televisivo - diceva che questa cosa di cambiare nome è ottima, citava il caso di una sua paziente, certa Giulia, che ogni tanto diventa Elena (non era spiegato molto bene in che modo, m'è sembrato di capire che semplicemente ella pensi saltuariamente di avere un altro nome) e con questo altro nome riesce a fare cose che come Giulia non fa; il noto psicoterapeuta parlava di roba tipo mettersi minigonne, andare in discoteca, conoscere gente nuova, ma suppongo che volesse intendere rimorchiare a tutto spiano e scopacchiare in giro (poi magari sono maliziosa io e la svolta del cambio-nome invece consiste proprio nel prendere a frequentare discoteche).

Il dentista intanto tardava a chiamarmi e così mi sono intrattenuta a pensare a quest'espediente del cambio di nome. Effettivamente ho intravvisto dei vantaggi, soprattutto la facilità di messa in atto della cosa e il costo zero: perché non provare? Fra l'altro io fin dalla più tenera età ho fantasticato di avere un altro nome, causa lunghezza e antiquataggine del mio.
In particolare m'ero fissata con uno preso da un cartone animato giapponese per bambine; ci andavo pazza, me lo ricordo ancora, si trattava precisamente del nome del personaggio antagonista nella serie: Ruby.

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