venerdì 13 gennaio 2012

Il mio amico albero




Quando arriva il momento di togliere di mezzo la roba natalizia mi sembra che l'albero di Natale diventi più luccicante; capita che rimanga a fissarlo dal divano - come ipnotizzata - e lo trovi particolarmente bello e splendente, addirittura quasi commovente, e apportatore di nostalgia per le festività di un altro anno che finiscono.

Questo è piuttosto strano, perché in realtà da subito dopo Natale la presenza dell'albero mi diventa progressivamente sempre più insopportabile; a Capodanno ancora lo reggo, pare che quell'affare in casa abbia ancora un qualche senso, ma da lì in poi quella presenza luminosa - eppure paradossalmente oscura - incombente sulla stanza dall'angolo accanto al balcone comincia ad ingenerarmi una tristezza crescente, a sprazzi quasi una vera angoscia. Se fosse alto 6-7 metri e quella sensazione negativa fosse proporzionale alla sua grandezza forse mi ci impiccherei.
Naturalmente non è l'albero in sé, sono le feste.

All'albero in quanto albero voglio bene; ogni anno spero che ce la faccia, che riesca a tirare avanti, che ne esca vivo: quando ci passo vicino gli strappo un po' di aghi per monitorarne le condizioni e nel momento in cui cominciano a venire via troppo facilmente mi dico che è solo per il caldo che c'è in casa, e che una volta trasferito fuori si riprenderà alla grande. Il mio sogno è che un anno uno di questi abeti riesca a diventare quello definitivo: trascorra dodici mesi sul balcone, affidabile e rassicurante, a suo agio con ogni condizione atmosferica, e poi - fedelmente - ogni Natale si presti a farsi tirare dentro casa e a farsi agghindare. Così forse tutto sarebbe più sopportabile.
Sì, certo...  la conosco la storia che le radici di un albero sono una specie di negativo sotterraneo della chioma e che ad un abete alto un metro e mezzo piantato in un vaso di 30 cm di diametro non può essere rimasto che un moncherino pressoché inutile di radice e non ci sia modo quindi di pensare realisticamente che possa sopravvivere; e però a me è capitato di vedere abeti vivi su terrazzi o in cortili, ben alla larga dal periodo natalizio, e allora a dispetto di ogni ragionevolezza mi chiedo: perché stavolta non potrebbe succedere anche a quest'albero?
(un anno in verità un abete ce la fece a sopravvivere sul mio balcone, fino a luglio, forse perché era piccolino e l'apparato radicale in proporzione aveva subito una menomazione meno massiva del solito; ma ad agosto purtroppo un improvviso clima da foresta amazzonica lo stroncò definitivamente).
Ad ogni modo non so bene la ragione per cui  l'albero, proprio quando sta per terminare il suo sporco lavoro in costume natalizio, improvvisamente perda ai miei occhi la sua aura deprimente e mi appaia invece bello e significativo.
Forse il fenomeno è causato dal senso di colpa di non essermelo filato per circa tre settimane, non avere apprezzato la magica atmosfera di cui era portatore e non essermi soffermata nemmeno il giorno di Natale in contemplazione delle sue decorazioni (messe da me, fra l'altro) e di tutti i ricordi dei natali passati sedimentati in esse; potrebbe essere per questo che all'ultimo momento l'abete sembra dirmi, col linguaggio morse delle lucette intermittenti:
"Visto...?? Sono ancora in gamba. Se ora per magia fosse di nuovo il 24 dicembre potrei ricominciare tranquillamente tutto daccapo...".
E' allora che ricevo l'input definitivo ad andare a prendere il valigione della roba di Natale, sbaraccare tutta la paccottiglia, infilarcela dentro alla svelta e nasconderla di nuovo nel posto più irraggiungibile della casa.

Però che gli ultimi giorni prima dello smantellamento l'albero brilli di più non è un'illusione né un'allucinazione: è proprio vero. Luccica realmente come non mai, come di notte fanno le luci della città quando cala la nebbia e tutto diventa più terso e splendente.
Dipende dal fatto che i suoi rami hanno perso la maggior parte degli aghi e quindi le lucette, senza quasi più nulla che le copra, sono meglio visibili.

Sì... Oramai è spacciato, legna da ardere.

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