sabato 7 luglio 2012

Un'immagine vale più di 547 parole

Qua avrebbe dovuto esserci una foto, ma per motivi di sicurezza non l'ho potuta fare.

Era sera tardi, mi trovavo ad una fermata nei quartieri bassi, e oltre me c'era un folto gruppo di zingari, pure loro in attesa dell'autobus; la lingua veramente mi sembrava un po' diversa da quella che ho sentito altre volte usare dagli zingari, ma forse è solo perché parlavano a voce molto più alta del solito, urlando e ridendo, e ad una certa ora i suoni risuonano diversi.
Ma erano zingari sicuro: denti d'oro, gonnellone, bambini allo stato brado, passeggini con dentro scatoloni di roba raccolta dai rifiuti, o neonati; chi altri potevano essere?
Se ne stavano raggrumati intorno alla pensilina sotto la luce arancione spiovente dai lampioni che riduceva tutti i loro colori ad una gamma ristretta e deprimente, con le masserizie e i bagagli di fortuna evocanti gli squallidi posti dove erano di ritorno, casa loro. Stavano là, sullo sfondo di vetrine estranee e manichini in posa, come la rappresentazione di un piccolo, ignorabile, puntuale esodo quotidiano.
Ma non era questa la foto.

Gli uomini stavano tutti insieme da una parte, dietro la parete di vetro della pensilina, qualcuno seduto per terra, qualcun'altro con una gamba alzata e il piede poggiato su di un dissuasore di pietra; erano loro a produrre la maggior parte del vocio, si raccontavano cose incomprensibili, annuivano incomprensibilmente, ridevano con le bocche aperte. Le donne, più silenziose e più stanche, avevano occupato la pensilina, alcune sedute sulla relativa panchina, altre davanti, in piedi sul bordo del marciapiede, buttando l'occhio alternativamente all'orizzonte, alla tabella elettronica con gli autobus in arrivo e ai bambini attorno.
Ma nemmeno questa era la foto.

Sulla destra della scena un bambino, piccolissimo, tirava calci violenti ad uno scatolone pieno di bottiglie appoggiato al muro. I bambini a quell'età in genere sembrano molli come bambole, dalla forza fisica trascurabile; questo continuava a tirare calci a gamba tesa, a intervalli regolari, come fosse caricato a molla.
Gli uomini dietro lo ignoravano completamente. In primo piano una delle donne in piedi - in stato di avanzata gravidanza - gli lanciava svogliatamente un urlo ogni tanto, qualche volta girando appena la faccia verso di lui.
Ma neanche questa era la foto.

Nonostante la luce gialla e i colori smorti si riusciva qua e là a distinguere - abbinata ad un bermuda fluorescente, o su di un gonnellone informe - una maglietta col logo vistoso di un pregiato marchio sportivo, un top abbastanza fine e di discreta fattura, raccattati chissà in quale balla di roba usata, chissà in quale bidone, buttati via magari per un buco invisibile. Tutto messo insieme a caso - come uno sberleffo ai nostri criteri, ai nostri imprescindibili gusti di non-zingari - su corpi magri e scuri, sulle pance di ragazzine incinte dai capelli sempre legati, con davanti passeggini già occupati da altri bimbi.
Ma no... No. Nemmeno questa era la foto. 


...VABBE', insomma per farla breve: la tipa incintissima, quella sul bordo del marciapiede, c'aveva addosso una maglietta striminzita con sul davanti la scritta "BIG BABOL" bella grossa con tanto di megapallone rosa che le si allargava giusto giusto sopra il panzone di 9 mesi; QUESTA, era la foto.
Ma ho pensato che se mi sgamavano si potevano incazzare, così ho lasciato perdere.


Comunque gran bella invenzione la fotografia.

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